Come l’idea di cibo “giusto” è uno dei tre pilastri principali della filosofia di Slow Food, così il “vino giusto” è un concetto chiave al centro della Slow Wine Coalition. Parliamo del significato dell’espressione vino giusto per Carolina Alvarado, presidentessa di Slow Food Cile.
Il Cile ha una lunga storia vinicola risalente ai primi giorni della sua colonizzazione nel XVI secolo. Oggi è uno dei maggiori esportatori di vino al mondo, superato solo da Italia, Spagna e Francia. Gran parte di questo vino potrebbe essere facilmente definito come industriale, dominato da pochi piccoli conglomerati, molti dei quali di proprietà straniera. Ma ci sono tenaci produttori indipendenti che resistono alla pressione economica e climatica. Carolina Alvarado è una di loro.
Oggi il Cile è uno dei più grandi produttori ed esportatori di vino del mondo. Dal momento che il mercato dell’esportazione è dominato da una manciata di grandi imprese, che posto c’è per i piccoli produttori?
Per noi è una realtà, anche se l’unica industria del vino che riusciamo a concepire è quella basata su vini realizzati con interventi minimi. Ci chiediamo che posto ci sarà per il grande business a fronte di un numero di piccoli produttori che è in continua crescita. Ci motiva sapere che siamo in tanti, ed è per questo che Per noi è una realtà, anche se l’unica industria del vino che riusciamo a concepire è quella basata su vini fatti con interventi minimi. Ci chiediamo che posto ci sarà per il grande business quando il numero di piccoli produttori è in continua crescita. Ci motiva sapere che siamo in tanti, ed è per questo che nella nostra valle organizziamo scuole di vino. Ed è per questo, anche, che incoraggiamo le persone a iniziare a coltivare i propri piccoli vigneti, soprattutto in zone dove c’è un patrimonio vinicolo a rischio di scomparsa.

In questo periodo la nostra produzione è stata colpita, come accade anche ad altri piccoli produttori, perché non ci sono forniture disponibili per imbottigliare il nostro vino. Questo perché la grande industria sta comprando tutte le forniture: bottiglie, tappi, e così via. Tutto sta diventando più costoso e scarso. Di fronte a questa situazione dobbiamo unirci, produttori e consumatori insieme, contro il nostro comune nemico.
Tra i consumatori occidentali abbiamo visto una crescita di interesse per il vino naturale. Quanto al mercato cileno, sta cambiando per soddisfare la domanda di vino naturale all’estero, o c’è un interesse crescente anche in Cile?
I consumatori a livello globale stanno arrivando a capire che il vino industrializzato richiede molti interventi, che lo allontanano dalla sua cultura, storia e terroir d’origine. Stanno rivolgendo il loro sguardo a vini vivi, prodotti da persone, non da macchine. Anche se il Cile ha produttori di vino naturale in molte zone diverse, da Codpa a Salamanca, da Limari a Marga Marga, da Itata a Ñuble a Bio Bio, c’è uno sforzo organizzato per diffondere la parola, per spiegare il perché.
Ci sono solo alcuni esempi isolati di produttori che ottengono maggiore visibilità grazie ai loro sforzi personali. In generale, i consumatori cileni sono completamente colonizzati e male informati sull’industria, dato che la legge non impone di dichiarare in etichetta la lista degli ingredienti o i metodi di produzione, o, per esempio, la quantità di solfiti utilizzati. Questo avvantaggia i grandi produttori industriali. Così una maggiore consapevolezza di questo prodotto sta prendendo piede solo ora in Cile. La gente ha dimenticato che il modo in cui facciamo il vino è quello che è sempre stato fatto, e noi stiamo semplicemente provando a rieducarla. Molti produttori preferiscono esportare il più possibile, ma noi speriamo quanto più è possibile il nostro vino possa rimanere all’interno della nostra comunità, e fungere da strumento per educare le persone del luogo.
La conferenza online
Registrati al link qui sotto per prendere parte alla conferenza online, il 23 marzo alle 18, e per fruire del servizio di interpretariato. La conferenza è dedicata a esplorare il ruolo sociale del vino.
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Abbiamo letto che nella vostra cantina non avete l’energia elettrica. È ancora così?
“Si è sempre fatto così”: piedi, mani, diraspatura manuale con canne di bambù cileno, Chusquea culeou… è tutto fatto a mano. La cantina beneficia dell’argilla rossa del terreno in collina, compatto e fresco, e non abbiamo linee elettriche.
Non è proprio possibile controllare la temperatura quando facciamo il vino, ma un anno fa abbiamo installato un pannello solare per assicurarci la luce per le vendemmie notturne. Lo usiamo solo per questo. Prima facevamo le vendemmie con molta attenzione e con le torce. Raccogliamo sempre al tramonto e durante la notte per evitare che le api vengano a unirsi alla festa. Infatti, attratte dal ricco succo d’uva, esse rischierebbero di non tornare ai loro alveari. Sono notti intense di lavoro, con molti canti, balli ed energia che portano il nostro vino naturale dal campo alla bottiglia.

Il vino come pratica sociale: che cosa significa per te?
Il vino è una scusa per stare insieme. Per noi è una forma di lotta, una bandiera di resistenza. La nostra valle è stata messa a tacere dal marketing industriale: la nostra acqua è stata privatizzata e ci è stato tolto l’accesso al cibo, al vino, alla chicha e all’acqua calda. Il vino è stato trasformato in qualcosa di esclusivo, così abbiamo deciso di reagire. Ogni sabato organizziamo degustazioni sociali, un evento gratuito affinché tutti possano conoscere il vino naturale. Insieme a una serie di prodotti locali e pane fatto in casa, incoraggiamo le persone a risvegliare i loro sensi. È un modo per socializzare, stare insieme ai vicini e ai giovani condividere le conoscenze sulla cura dell’uva e imparare a fare il vino.
Quali difficoltà hai incontrato come donna produttrice di vino in Cile? Hai visto dei progressi negli anni?
Sono stata privilegiata perché sono nata in una famiglia matriarcale. Sono cresciuta in uno spazio pieno di rispetto, amore e libertà, uguaglianza di genere, circondata da vigneti, con molte persone in casa tutto il tempo. Tuttavia, la storia delle donne e della viticoltura in Cile è molto più grande della mia esperienza personale. L’enorme quantità di lavoro che le donne hanno fatto nella storia della viticoltura non è così conosciuta: le cantine gestite da donne; i molteplici ruoli che le donne hanno svolto nella vendemmia; le lotte che le donne hanno affrontato per accedere al mercato delle materie prime nel sud del Cile… sono tutte degne di menzione. Ci sono donne che proteggono il patrimonio vinicolo di zone come Itata, Ñuble e Bio Bio, alzando la voce e lottando per sopravvivere mentre le loro terre sono assediate dagli incendi boschivi.
Non ho questi problemi con le materie prime e gli incendi boschivi, perché abbiamo una piccola cantina artigianale dove ogni chicco d’uva è trasformato in vino: non c’è un’industria forestale qui, anche se c’è molta urbanizzazione non pianificata e siccità. Ogni giorno è una sfida. Io penso che noi donne siamo riuscite a cogliere maggiori opportunità nelle zone rurali, anche se c’è ancora molta strada da fare. Siamo più ascoltate al giorno d’oggi, e il governo sta arrivando a una maggiore comprensione dell’importanza dell’uguaglianza di genere. C’è un dibattito in corso sull’onere del lavoro di cura, che ricade in gran parte sulle donne; è una questione irrisolta ma di cui continuiamo a discutere
Si sentono spesso storie sulla crisi idrica in Cile, in particolare sull’agricoltura industriale che priva dell’acqua le comunità locali…
La storia della mercificazione dell’acqua nel nostro paese è una vergogna, e colpisce tutti i produttori di vino naturale. Nel sud l’industria forestale consuma suolo e acqua in modo insaziabile. Nel centro del paese, dove viviamo noi, l’agroindustria produce in modo massiccio piante ad alto consumo idrico come l’avocado, e nel nord c’è l’industria mineraria. Le comunità sono sempre più colpite ogni giorno, ma c’è speranza ora in una nuova costituzione, e questo ci motiva nel nostro lavoro. Garantire il nostro diritto fondamentale all’acqua è essenziale per la sopravvivenza dei nostri ecosistemi, per la biodiversità e per le nostre culture e tradizioni.

In che modo il cambiamento climatico sta influendo sulla viticoltura nella tua zona?
Il nostro vigneto è circondato da una foresta di sclerofille, e quindi è stato in grado di resistere per molti anni. Le varietà della nostra terra non sono mai state irrigate, ma le varietà francesi una volta lo erano. Quando abbiamo smesso di irrigare sei anni fa, la scarsità di pioggia invernale le ha gravemente colpite. Da alcuni anni stiamo pensando di sostituirle, in favore di quei vitigni che si sono adattati meglio ai cambiamenti nel corso dei secoli, come il País, la Cuyana, il San Francisco, il Moscatel Rosada e l’Amarilla. Per fortuna abbiamo queste antiche varietà, che danno tregua alle generazioni future, ma possiamo sentire come il cambiamento climatico stia accelerando. L’acqua è sempre più scarsa perché sempre meno drena dalle montagne. È tempo di agire.
Quali azioni stai intraprendendo?
Stiamo cercando di usare l’acqua in modo più efficiente e di incoraggiare la coltivazione di varietà di uva che richiedono meno acqua. Abbiamo ricevuto un grande sostegno grazie a un progetto con la Fondazione Reale, dove abbiamo tenuto delle lezioni sulle colture che richiedono meno acqua, fatto dei vivai di piante per viti, olivi e fichi d’India. In questo modo, abbiamo unito la nostra comunità locale intorno a questo obiettivo di difendere la nostra acqua, la nostra cultura e il nostro patrimonio.
Cosa significa per te far parte della Slow Wine Coalition, e quali speranze nutri nei suoi confronti?
Far parte di Slow Food significa pensare a livello planetario: il terroir è il mondo. Far parte di questa coalizione significa avere speranza, agire, resistere, lottare insieme per sensibilizzare e promuovere il consumo di vini che sono, di per sé, dichiarazioni politiche.
di Jack Coulton, info.eventi@slowfood.it