Slow Wine Fair 2023 ha preso il via a BolognaFiere con una serie di dichiarazioni forti e riflessioni stimolanti sul significato del fare vino, sulla solidarietà e sull’essere parte di una comunità vitivinicola.
L’idea dei vignaioli come individui che si occupano delle loro vigne e vendono le loro bottiglie al prezzo più alto che possono spuntare sul mercato è un anatema per la Slow Wine Coalition, una rete costruita sull’idea che la produzione di vino è, e deve essere, un atto eroico in difesa del paesaggio, e un pilastro della vita rurale nelle regioni temperate di tutto il mondo. E soprattutto deve essere un atto di solidarietà.
«Il vero carattere emerge nelle scelte che un essere umano fa quando è sotto pressione. Maggiore è la pressione, più profonda è la rivelazione, più vera è la scelta rispetto alla natura essenziale del personaggio».
Robert McKee, Story
Sebbene la citazione di McKee riguardi la sceneggiatura, può essere applicata anche alle persone reali, e non solo ai personaggi di fantasia. Ed è proprio la pressione della crisi che ha permesso di far emergere i valori della solidarietà, dalla Turchia all’Ucraina, come abbiamo sentito nella Slow Wine Arena – Reale Mutua, in occasione del convegno intitolato Vino e comunità: insieme siamo più forti.
Approccio collettivo
«Abbiamo un vino chiamato naltres, che in catalano significa “noi”» ha spiegato il moderatore Pau Moragas Bouyat di L’Olivera, in Spagna. «Nel mondo del vino spesso sono gli individui a essere al centro della scena, ma noi abbiamo deciso di mettere al centro la nostra comunità. Crediamo nel ruolo della comunità nella produzione del vino, ma anche nella sua distribuzione e vendita, perché vogliamo essere “naltres” con i consumatori. Il nostro vino è espressione di questa visione collettiva, di un approccio collettivo al vino».

Il vino al servizio della comunità
Dalla Croazia abbiamo sentito Dino Babic, coordinatore del Presidio Slow Food del Vin de Rosa, un prodotto tradizionale croato realizzato con vitigni autoctoni per le occasioni più importanti. «Abbiamo iniziato a lavorare sull’idea della nostra comunità nel 2014, con la fondazione dell’Ecomuseo Istrian de Dignan».
«È un modo per preservare uno stile di vita che stava scomparendo, in cui l’uomo vive a stretto contatto con gli animali da cui dipende. E naturalmente è uno stile di vita basato sulla produzione di vino. Rispetto al passato, però, sono rimasti pochissimi ettari di vigneto che producono i vitigni autoctoni. Molti non sono sopravvissuti alla fillossera, ma abbiamo trovato circa 40 piante e recuperato quello che potevamo. La produzione di questo vino ha dato alla nostra comunità la possibilità di avviare molti altri progetti per il nostro beneficio collettivo, da un orto didattico nella scuola alla terapia assistita con gli asini per le persone con bisogni speciali».
I successi e le sfide della viticoltura collettiva dal basso
Francesco Sedilesu è viticoltore a Mamoiada, azienda ubicata in un’area scarsamente popolata della Sardegna centrale. Questa è stata a lungo una regione vinicola e nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale è stata fondata una cantina cooperativa, anche se con metodi coercitivi, dal governo. «I viticoltori non si sentivano rappresentati dal vino che veniva prodotto; non corrispondeva ai loro vini naturali, fatti in casa senza l’uso di tecnologie avanzate o additivi».
«Quando la cooperativa fallì nel 1980, gli ettari di vigneto diminuirono rapidamente. Per 20 anni si è prodotto solo vino artigianale, ma dal 2000 le piccole cantine familiari hanno ricominciato a imbottigliare nell’ambito di una nuova associazione, fondata da e per gli stessi viticoltori. La condizione per l’adesione è che i produttori siano residenti in loco e che lo siano da almeno tre anni. Lo facciamo per scoraggiare gli investitori che cercano di trarre profitto dalla nostra immagine, come spesso accade in altre regioni vinicole più famose».
Solidarietà con l’Ucraina
Olena Motuzenko di Slow Food Ucraina ha condiviso le storie di solidarietà che hanno avuto ricadute reali per i viticoltori ucraini negli ultimi 12 mesi. «È difficile parlare della guerra, ma il modo in cui il mondo ci ha sostenuto ci ha riempito di entusiasmo. In Ucraina ci sono regioni vinicole attualmente sotto occupazione militare, una quantità di campi seminati con mine antiuomo per una superficie più estesa della stessa Inghilterra… Eppure ci sono persone che sono rimaste, che si occupano della loro terra perché non possono immaginare una vita senza di essa».
«Altri sono stati costretti ad andarsene a causa della violenza: abbiamo aiutato un uomo, un anziano viticoltore di Kherson, a trovare una nuova casa in Italia. I viticoltori dei Colli Euganei gli hanno regalato tre nuove viti, per dargli delle piante da curare qui. Atti di solidarietà come questo ci fanno sperare per il futuro, e da queste tre viti è nato un movimento, dall’Irlanda alla Grecia: perché tutta l’Europa è unita nel sostenere il popolo ucraino, e lo vediamo anche attraverso la solidarietà dei vignaioli europei».
di Jack Coulton, info.eventi@slowfood.it