Marzabotto. Un nome che, per chi – giustamente – non dimentica, è legato a un tragico eccidio perpetrato dalle truppe nazifasciste nell’autunno del ’44. Ma, senza cancellare quello che è stato, c’è un modo di ricostruire la memoria di un luogo. Lo si può fare con la buona agricoltura. Ed è questa la missione di Al di Là del Fiume.
Siamo nel Parco del Monte Sole, in località Ca’ de Co’ (“la casa di sopra”), in prossimità del fiume Reno. È qui che Gabriele Monti e Danila Mongardi sono approdati per ricostruire la memoria del territorio.
Un approdo non casuale. Nel dopoguerra, i terreni di Al di Là del Fiume erano già stati lavorati dal nonno e da Carlo, il padre di Gabriele, che vi trascorse gli anni della prima giovinezza. In inverno facevano i falegnami, d’estate prestavano lavoro come mezzadri. Ca’ de Co’ era la fattoria che maggiormente utilizzava i loro servigi.
Tornare alla terra

Poi, quando Carlo aveva 17 anni, le strade del luogo e quelle della famiglia Conti si separarono. Carlo inizia a lavorare nell’azienda di famiglia, che produce tacchi per le scarpe, ed è questo – apparentemente – il destino di Gabriele.
E Danila? Anche lei non sembra predestinata alla terra, visto che dai 17 anni svolge il lavoro di educatrice, prima come volontaria poi come vicepresidente di una cooperativa sociale.
Dal 2005 i destini della famiglia e del luogo sono però tornati a riunirsi. Mi dice Danila: «Casualmente, scoprimmo che Ca’ de Co’ era stata messa in vendita. Era passato del tempo, e la fattoria non era che un rudere, non c’era più niente di un tempo. È come se la terra ci avesse chiamati, abbiamo sentito che fosse giusto investire in questa impresa».
È così che inizia quella che Danila definisce la “fase giocosa” di Al di Là del Fiume. Ca’ de Co’ viene interpretata come la casa del fine settimana, delle vacanze, non c’è ancora un progetto agricolo strutturato. Ma, commenta Danila: «A un certo punto ci siamo resi conto che quel posto era diventato il protagonista delle nostre conversazioni, che trascorrevamo intere serate a discutere di quel che avremmo potuto fare».
Porsi all’ascolto

Un coinvolgimento sempre maggiore, che è come se fosse un fiume in piena. Una parte non piccola l’hanno giocata in tal senso gli abitanti del posto, gli anziani, che Danila e Gabriele interpellano da subito per ricostruirne la memoria agricola.
Mi dice Danila: «La prima fase della nostra vita a Ca’ de Co’ è stata puntellata da numerose interviste. Abbiamo cercato gli anziani del luogo, abbiamo discusso con loro, li abbiamo interrogati su cosa c’era qui un tempo, prima della fase dell’abbandono, su cosa bevevano. Ci hanno detto che c’erano vigne, che si coltivavano albana e barbera. Dal primo, si ricavava il vino quotidiano; dal secondo, il vino della festa… Siamo ripartiti di qui».
Dal confronto con gli anziani, si passa quindi alle consulenze professionali. Gabriele e Danila sentono che la filosofia agricola che meglio si sposa con il loro modo di essere, è la biodinamica, perché unisce il tema della fertilità del suolo a quello del benessere delle persone. Nel passaggio alla seconda fase della vita aziendale, quella che possiamo definire la “fase consapevole”, è fondamentale il confronto con Adriano Zago1, che li aiuta a interpretare nel modo migliore possibile le loro inclinazioni.
Al di là del fiume in breve
- ettari 5 – bottiglie 25.000
- Fertilizzanti: preparati biodinamici, letame, sovescio
- Fitofarmaci: preparati biodinamici
- Diserbo: lavorazione meccanica/manuale
- Lieviti: fermentazione spontanea
- Uve: 100% di proprietà
- Certificazione: biodinamico certificato
- Premi Slow Wine: Vino Slow al Dagamò 2022. Frutta calda e sentori di rose al naso, con contorno di fieno; in bocca è masticabile, sapido e molto persistente.
Un’azienda ricca di vita

Oggi l’azienda agricola è composta da 27 ettari di terreno. Quelli destinati alle vigne sono 4. La parte restante è composta dall’orto, da un frutteto di 1 ettaro che include 100 piante di mela rosa romana, dal campo seminato a grani antichi, delle varietà andriolo, gentil rosso, Senatore Cappelli e segale.
Parte fondamentale della vita agricola sono ovviamente gli animali, dai più grandi ai più piccoli. Mi dice Danila: «Abbiamo asini e pecore, ma i nostri campi sono popolati da numerose forme di vita: dalle api alle farfalle alle coccinelle. La “prova della vanga” ci conferma che il nostro è un terreno ricco di humus e di lombrichi. Sono anche tornate le lucciole. L’azienda è un organismo vivo».
Una vita che, senza dubbio, aiuta la sopravvivenza anche nei tempi di crisi climatica. Continua Danila: «Che siamo in una fase storica difficile è innegabile. Il nostro battesimo aziendale, nel 2014, fu del resto “salutato” da una grandinata epocale che distrusse tutto, e che ci ha ricordato che, quando si lavora la terra, si è in mano di qualcosa di più grande di noi, che la natura non può essere dominata o piegata alla propria volontà. Negli ultimi anni gli effetti della crisi climatica li riscontriamo in primis sull’epoca della vendemmia. Il pignoletto, ad esempio, lo si vendemmiava a fine agosto, negli ultimi anni la raccolta è stata anticipata al 15 del mese… Ma la nostra situazione ci aiuta a resistere. Da un lato c’è la posizione stessa dell’azienda: l’essere ubicati tra il fiume Reno e l’Appennino dà refrigerio alle piante; dall’altro i princìpi dell’agricoltura biodinamica aiutano le radici ad andare in profondità per trovare il loro nutrimento. Infine la scelta dei vitigni autoctoni si sta rivelando sempre più giusta: albana, barbera, pignoletto, montuni, negrentino e alionta sono naturalmente più strutturati per prosperare in questi luoghi».
Un progetto di comunità

La fertilità del suolo e il benessere delle colture non sono però gli unici obiettivi cui guardano Gabriele e Danila. Il benessere delle persone è un’altra componente essenziale di Al di Là del Fiume, e non potrebbe essere diversamente, visti i trascorsi professionali di Danila.
«Tutto quello che ho imparato nel mio lavoro presso la comunità terapeutica l’ho trasferito in azienda. In una comunità si insegna che nessuno deve essere lasciato solo, e che tutti sono un valore e un aiuto per gli altri. Questi sono princìpi che valgono in tutte le comunità, comprese quelle agricole. Al di Là del Fiume nasce in una vallata devastata, sempre più povera, e si pone l’obiettivo di contribuire alla ricchezza autentica del territorio, di dare vita al tessuto sociale esattamente come abbiamo dato vita al terreno. Oggi in azienda lavorano molti giovani. Chi nei campi, chi nell’accoglienza dell’agriturismo, chi in osteria… Ci sentiamo responsabili del territorio a 360°, e affrontiamo questa responsabilità in modo creativo, senza fermarci mai».
Ecco allora che le chiacchiere della “fase giocosa” si sono trasformate in un progetto territoriale sempre più strutturato, dove tutto ha un senso. Un senso vitale. Autentico. Meraviglioso.
di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it
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Note.
1. Laureato in Agraria presso l’Università di Padova, e specializato in Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Montpellier, inizia a lavorare nella consulenza agronomica ed enologica dai primi anni 2000 partendo dalla Toscana per poi estenderla all’Italia, l’Europa e USA. Nel 2019 fonda il primo Master Internazionale in biodinamica per il vino, Cambium Formazione, con due edizioni già svolte in Italia e le prossime in programma in Francia e negli Stati Uniti. Parallelamente continua la sua attività di ricerca e docenza in Biodinamica collaborando con le Università di Padova, Firenze, Fondazione Mach, istituti e associazioni internazionali.