Il tempo degli ampelonauti: Aquila del Torre

08 Novembre 2023

A Savorgnano del Torre la coltivazione della vite è un’attività storica. A introdurla sui Colli Orientali del Friuli furono i Romani. La vocazione della zona sarà riconosciuta come sottozona della denominazione dal 2024.

Ci troviamo sulle prime alte colline a ridosso delle Alpi Giulie, nella zona più nord-occidentale dei Colli Orientali del Friuli. Qui i 18 ettari di vigneti di Aquila del Torre, disposti su un terrazzamento ad anfiteatro, convivono con un bosco vigoroso che contribuisce ad accrescere la fascinazione del luogo.

Il suolo in cui le viti affondano le radici è unico, ed è noto con il nome di flysch, “ponca” per i locali. Si tratta di una stratificazione di marne e arenarie a tessuto argilloso. A parlarmene, è Michele Ciani, che oggi conduce l’attività di famiglia: «50 milioni di anni fa in questi terreni si trovavano sott’acqua. Sul fondale del mare si stratificarono argille e sabbie, ed è da questa stratificazione di marne e arenarie che le nostre viti attingono la loro essenza. I vini del territorio sono tipicamente minerali e sapidi, e questo carattere è tanto più evidente quanto più le radici si approfondiscono per raggiungere la roccia madre».  

Un approccio pragmatico

La famiglia Ciani si è insediata in azienda in tempi relativamente recenti: «Qui c’era un’azienda agricola a indirizzo misto: si coltivavano viti, meli, ciliegi e olivi. Una parte dell’azienda era destinata all’allevamento di vacche. Mio nonno e mio padre hanno avviato il progetto di famiglia a partire dal 1996, recuperando le vecchie vigne di Friulano e Picolit, e ripulendo il bosco che aveva ricominciato a prendere il sopravvento sui terrazzamenti».

I vigneti vengono risistemati e puliti, si scelgono trattori meno invasivi, più piccoli e sicuri, dal 1999 al 2003 si fanno nuovi impianti che oggi costituiscono il grosso dell’azienda. Si ricostruisce dunque la cantina e si avvia anche un progetto di ospitalità scommettendo su un’area vinicola meno famosa delle più note Cormons e Cividale del Friuli, ma che merita di essere conosciuta ed esplorata. Nel 2010 inizia la conversione a biologico, che si concretizza tre anni dopo con la certificazione. Nel 2014 Michele si associa alla FIVI, che apre le porte al confronto con altri vignaioli indipendenti. Un percorso graduale, che determina anche le recenti scelte agronomiche.

«Confrontandoci con altri viticoltori, siamo entrati a far parte dell’associazione Agricoltura vivente, nata con l’intento di divulgare il metodo pratico dell’agricoltura biodinamica. L’associazione segue le linee guida di Alex Podolinsky1, caratterizzate da un approccio più pragmatico rispetto alla filosofia steineriana. Io sono agronomo di formazione e, approfondendo le linee guida di Podolinsky, ho compreso come ci dovessimo concentrare sull’osservazione del suolo, il portamento della chioma del vigneto e il contesto tutt’attorno alla vigna. Solo considerando la tenuta come organismo agricolo possiamo accompagnare le uve a esprimersi al massimo».

L’importanza dell’osservazione

Michele descrive così l’essenza del loro approccio biodinamico: «Per noi, biodinamica non significa soltanto distribuire preparati, per quanto anche essi rientrino nelle pratiche aziendali». Sul sito di Aquila del Torre sono infatti descritti nel dettaglio i preparati da cumulo – a base di achillea, camomilla, ortica, corteccia di quercia, tarassaco e valeriana – che hanno la funzione di innescare la fermentazione del compost che deve essere sempre monitorato e arieggiato. Una volta interrato in vigna garantisce vitalità al suolo e di riflesso l’apparato radicale delle viti ne percepisce i benefici. Oltre a ciò si effettuano distribuzioni di 500P, di cornosilice, e si pratica il sovescio, sempre con particolare attenzione rivolta a mantenere in equilibrio il terreno.

Prosegue Michele: «L’essenza della biodinamica consiste soprattutto in questa capacità di osservare, interpretando le caratteristiche del suolo, il portamento delle viti, la loro risposta al clima delle diverse annate, e accompagnandole per esprimersi al meglio». Anche gli attuali strumenti tecnologici danno un loro contributo in tal senso. Michele, infatti, ha approfittato del lockdown del 2020 per approfondire la conoscenza della app 4Grapes e formarsi come ampelonauta: «L’applicazione è in linea con i nostri obiettivi per il monitoraggio del vigneto. Questo strumento ci avvicina ulteriormente alle nostre vigne, permettendoci di raccogliere una grande quantità di dati, di fare comparazioni, di organizzare l’azienda per priorità, intervenire in maniera localizzata laddove c’è ricorrenza di squilibri in vigna e riuscire a mantenere in bilanciamento il sistema».

Aquila del Torre in breve

  • Ettari 18 – Bottiglie 60.000
  • Fertilizzanti: humus, compost, preparati biodinamici, sovescio
  • Fitofarmaci: rame, zolfo, induttori di resistenza
  • Diserbo: lavorazione meccanica/manuale
  • Lieviti: inoculo di lieviti indigeni con piede di fermentazione
  • Uve: 100% di proprietà
  • Certificazione: biologico certificato
  • Premi Slow Wine: Vino top e Vino Slow a FCO Friulano 2021. L’elegante ampiezza floreale al naso, preceduta da un tocco sulfureo, introduce una beva sostanziosa, caratterizzata da una magistrale incisività minerale. Un vero capolavoro.

Le uve e i vini

Friulano, resiliente per natura

Come la vigna, così la cantina. Anche qui, gli input sono minimi, in modo da consentire alle uve di restituire la piena interpretazione del territorio, del clima, delle stagioni. Tuttavia, da Aquila del Torre si va anche oltre, qualcosa di inaspettato. «Per il Friulano siamo passati dal classico legno grande a vasi vinari di cemento crudo. Il Friulano matura in vasche di cemento a forma di uovo, che hanno la giusta porosità per l’affinamento sulle fecce fini in cantina. In questo modo otteniamo vini vivi, che rappresentano un’espressione inattesa del Friulano».

Picolit, ribelle domato

L’altro vitigno del posto è il Picolit, che Aquila del Torre propone nella classica versione passita DOCG, e in una meno convenzionale versione secca, l’Oasi. È proprio sul Picolit che si focalizza uno dei più importanti progetti aziendali – e non solo – per i prossimi anni. «Le uve Picolit sono un grandissimo lettore del clima in Friuli. La nostra scommessa, in questo ultimo periodo, è stata quella di vinificare questa varietà in purezza ottenendo un vino bianco senza residuo zuccherino, rompendo gli schemi classici della DOCG. Con questa ultima annata e assieme a altri viticoltori di Savorgnano del Torre abbiamo iniziato a vinificare una anteprima di Savorgnano Bianco, il blend di uve il più territoriali possibili, ovvero il Friulano e il Picolit, appunto come bianco secco».

Refosco dal peduncolo rosso, autoctono friulano

Puntare sulle varietà autoctone non restituisce solo una lettura più fedele del territorio, ma è anche una scelta più ponderata in funzione dei cambiamenti climatici: «Friulano e Picolit sono le varietà più adatte a questo tipo di suolo, e sono al contempo più resistenti agli stress climatici. Nella stessa direzione, tra le uve a bacca rossa il Refosco dal peduncolo rosso, anche nella versione Riserva, è un altro esempio di varietà autoctona e più adattabile ai cambiamenti del clima».

di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it

Note.

  1. Scomparso nel 2019 a 94 anni, Alex Podolinsky è uno dei padri della biodinamica. Di origini russo-ucraine ha mosso le prime mosse in tal senso in Australia, fondando la Biodynamic Agricultural Association of Australia (BDAAA). Podolinsky tenne una serie di lezioni introduttive alla Biodinamica dove, per la prima volta, sono state chiaramente illustrate le tecniche fondamentali di un moderno e professionale metodo di agricoltura biodinamica. Queste conferenze sono state trascritte e tradotte in otto lingue e sono lette in tutto il mondo. Per l’applicazione pratica della Biodinamica queste lezioni rivestono un’importanza simile a quello che furono le otto conferenze di Steiner per lo sviluppo iniziale del metodo.

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