Amaro a prima vista

16 Novembre 2023

Non solo vini buoni, puliti e giusti. Tra le conferme di Slow Wine Fair 2024, c’è anche la presenza dell’Amaro d’Italia. Dal 25 al 27 febbraio, infatti, nei padiglioni di BolognaFiere produttori di eccellenza potranno esporre, e far conoscere al pubblico i loro prodotti e introdurci in un mondo estremamente affascinante e ancora poco conosciuto.

Per iniziare a parlarne e per dipanare un po’ di dubbi, faccio una lunga chiacchierata con Edoardo Schiazza, fondatore di Amaroteca e presidente dell’Associazione nazionale Amaro d’Italia.

Iniziamo qualche constatazione semplicissima, relativa a un paio di abitudini di consumo.

La prima. Quando ordiniamo un amaro, in genere, ordiniamo semplicemente “un amaro” – come se ordinassimo “un vino” – oppure andiamo sul nome preciso che, in genere, è il nome di un brand pubblicizzato sul territorio nazionale o il nome superspecifico di un amaro noto solo a livello locale.

La seconda. Ordiniamo un amaro quasi sempre e solo a fine pasto. Anzi, spesso quell’amaro ci viene offerto.

Un amaro, grazie!

Il mondo dell’amaro è un mondo perlopiù circoscritto all’Italia. All’estero l’abitudine di consumare amari non si è mai affermata. Ma anche in Italia se ne sa davvero poco, a parte i nomi noti che si trovano praticamente in ogni ristorante o bar.

Edoardo Schiazza parte proprio di qui: «La consapevolezza e la conoscenza è proprio il nodo della questione. In Italia, ogni campanile ha il suo amaro: segno che c’è una grandissima estensione di produzione, ma anche una scarsissima cultura del prodotto. A parte i brand più noti e pubblicizzati, di norma gli amari sono strettamente connessi col territorio ed è estremamente difficile svolgere operazioni di carattere culturale o commerciale».

Banalmente, rispetto agli amari ci mancano anche dei descrittori codificati – ad esempio sul livello di amarezza – o, quando li ordiniamo, rispetto agli ingredienti che li compongono.

Commenta Edoardo: «Questo è un vero peccato, perché spesso negli amari troviamo ingredienti di assoluta qualità. Per citare qualche prodotto che potrebbe piacere agli amici di Slow Food: l’amaro Succi è realizzato con il Presidio del cardo gobbo di Nizza Monferrato; a Bologna si beve il Settemmezzo che impiega il Presidio del carciofo violetto di San Luca; con un altro carciofo oggetto di Presidio, il carciofo di Niscemi, viene fatto l’amaro Paesano; nell’amaro Zagaro rientrano poi mandarini e arance di Ribera… Si potrebbero citare numerosi esempi. Eppure raramente si sente ordinare un amaro a partire dagli ingredienti che lo compongono, e raramente si denota l’interesse a scoprirli».

I gradi di amarezza

Per essere aiutato nel suo percorso di scoperta, l’appassionato dovrebbe essere dotato di una serie di strumenti che per gli appassionati di vino sono all’ordine del giorno… Corsi di degustazione, guide, o anche – banalmente – un vocabolario di riferimento.

Mi dice Edoardo: «In realtà c’è molta confusione, anche nella definizione del concetto stesso di amaro. L’amaro fa parte dei liquori spiritosi, una categoria definita in maniera oggettiva, sulla base della gradazione alcolica e del quantitativo di zucchero. Ma quali liquori spiritosi sono amari? Per definirlo non sono ancora stati individuati criteri oggettivi… Mancano anche, rispetto al mondo del vino, categorie professionali di riferimento. Ad esempio, non esiste la figura del sommelier degli amari ma, solo, semmai, alcune categorie professionali che hanno una conoscenza un po’ più approfondita – ad esempio perché utilizzano gli amari come componenti dei cocktail».

In questo panorama estremamente confuso e lacunoso, di certo i disciplinari di produzione o il sistema di etichettatura non aiutano.

«Un caso significativo è dato, ad esempio, dalle genziane abruzzesi. Si può dire che la producano un po’ tutti, ma manca un riferimento codificato, cui stiamo cercando di arrivare grazie al costante confronto con i produttori tra cui Scuppoz e la sua Genziana delle Pecore. Le stesse etichette, spesso, non aiutano, perché spesso al di là della gradazione alcolica dicono poco o nulla sul prodotto: ad esempio, spesso, non dichiarano quali siano le componenti botaniche principali o i vini impiegati nella ricetta. Insomma: c’è moltissimo lavoro da fare!».

Sì, ce n’è molto, e la Fiera dell’Amaro d’Italia, per la sua quarta edizione ospite di Slow Wine Fair, così come l’Atlante degli Amari, che dà un repertorio geografico interessantissimo delle produzioni italiane, sono preziosi tasselli di questo lavoro che speriamo di farvi conoscere, a BolognaFiera, il prossimo febbraio.

di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it

Organizzata da BolognaFiere e Sana da un’idea di Slow Food, Slow Wine Fair è la manifestazione internazionale dedicata al vino buono, pulito e giusto. Dal 25 al 27 febbraio 2024, convegni, masterclass, e l’esposizione di circa 1000 cantine italiane e internazionali e oltre 5.000 etichette. La biglietteria sarà disponibile online a fine novembre. Iscriviti alla newsletter per essere aggiornato su tutte le novità. #SlowWineFair2024

Skip to content