Per chi è del nord, arteteke è un vocabolo misterioso. Potrebbe pure essere una formula magica. Per chi è del sud, e più precisamente del Vulture, questo lemma sta a indicare una condizione propria dei bambini, innanzitutto ma non solo, incapaci di starsene al posto che è stato loro assegnato.
La giovane storia di Arteteke inizia di qui, dalla volontà di includere coloro che non sanno stare fermi, e di renderli protagonisti di una grande avventura con la terra.
È il 2017, e Arteteke si costituisce come cooperativa sociale. Nel 2018 vengono imbottigliate le prime bottiglie che recano sull’etichetta la stilizzazione di una farfalla all’interno della scritta “Arteteke – Restless in Vulture”, come a voler sottolineare che l’irrequietezza è la cifra stilistica dell’azienda.
Storia di una farfalla pop

La mia chiacchierata con Giulio Francesco Bagnale, fondatore della cooperativa e una lunga storia nella comunicazione alle spalle, inizia proprio da qui, dal nome e dal simbolo. «Abbiamo scelto il nome Arteteke che riassume benissimo il nostro progetto di inclusione sociale. Nella cooperativa lavorano persone con disabilità, con fragilità sociali, migranti… Il nostro progetto vuole innanzitutto comunicare che si può fare alta imprenditorialità impegnando persone fragili, che si rifiutano di stare al proprio posto, e prendono in mano il proprio destino».
La falena del Vulture (Brahmaea europaea Hartig) rappresenta questa condizione nel modo migliore possibile. Anche lei, infatti, si è sottratta al proprio destino, scampando miracolosamente all’estinzione a cui era condannata. Tant’è che alcuni la definiscono come un fossile vivente. Mi dice Giulio: «Abbiamo scelto la bramea perché la sua esistenza è come quella di Arteteke. Se fosse stata al proprio posto, si sarebbe estinta. Invece, è scampata all’estinzione del Miocene, e oggi vive solo qui, sul monte Vulture. È il nostro animale totem. La sua vita, in continua trasformazione, ci rappresenta alla perfezione».
Un nome, un simbolo, e una grande capacità comunicativa… L’idea grafica delle etichette riprende l’Half Dollar di Franco Angeli. La farfalla preistorica diventa pop.
La cura del territorio

In questo percorso di avvicinamento a Slow Wine Fair emerge sempre di più il tema della cura del territorio. Non si parla solo di ambiente e di pratiche agronomiche rispettose e poco invasive, ma di progetti che prendono in esame il paesaggio, il suolo, le risorse naturali, e anche il benessere delle persone. Perché se non si considera questo parametro un progetto per il territorio è incompleto. Nel caso di Arteteke lo si può vedere benissimo.
Mi racconta Giulio: «Il nostro è un progetto di valorizzazione del territorio a 360°, in cui la comunità si prende cura di se stessa. Negli anni di esperienza maturata presso l’associazione dei miei genitori (fondata a fine anni Sessanta) e poi come vicepresidente di AIAS nazionale, ho compreso come le persone con disabilità intellettive e relazionali rispondano bene ad attività connotate dalla ripetitività, come ad esempio le attività agricole. I ragazzi mostrano una buona risposta di apprendimento nello svolgere lavori manuali, come la raccolta dell’uva in cassetta, o il prendersi cura degli animali. In Arteteke ho messo insieme la forte vocazione sociale che da sempre ha contraddistinto il mio lavoro con la passione per il vino, che ho maturato nel tempo».
Relazioni

Giulio, infatti, è anche gastronomo. Nel 2004 inizia a collaborare con il critico Rafael García Santos e, grazie a questa esperienza, entra in contatto con Marco Bolasco e inizia a collaborare con il Gambero Rosso prima, con Identità Golose poi. Un mondo di contatti e di relazioni preziose che anche nel progetto Arteteke si sono rivelate importantissime. Un esempio per tutti? L’incontro con Luca Faccenda di Valfaccenda. Dice Giulio: «Per noi gli incontri, le relazioni, hanno avuto un’enorme importanza. A Luca, ad esempio, dobbiamo la sopravvivenza stessa dell’azienda. Le nostre strade si sono incrociate nel gennaio 2020, quando stavamo muovendo i primi passi. Poi è arrivato il Covid, che è stato faticosissimo, anche emotivamente. Ecco, Luca è stato fondamentale perché ha sposato in pieno il progetto, perché ci ha spronati e aiutati. Ha cambiato letteralmente la cantina, portandola a un nuovo livello di maturità e di consapevolezza».
Ma poi di nomi se ne potrebbero fare molti altri: da Les Caves de Pyrene, che distribuisce i vini di Arteteke, a Giovanni Passerini, che li propone nel suo ristorante a Parigi. Una rete fitta, e sempre più consolidata, grazie alla quale la piccola bramea sta spiccando il volo: dal Vulture alla Francia, al Nordamerica, all’Inghilterra.
L’azienda Arteteke
- Ettari: 2,5 – Bottiglie: 25.000
- Fertilizzanti: organo-minerali, compost
- Fitofarmaci: rame, zolfo
- Diserbo: lavorazione meccanica/manuale
- Lieviti: fermentazione spontanea, selezione di lieviti indigeni
- Uve: 100% di proprietà
- Certificazione: in conversione biologica
La sfida del clima

Questa piccola cantina ha già affrontato molte sfide, e lo ha fatto con grandissima caparbietà. Ce n’è una che accomuna Arteteke a tanti altri vignaioli in Italia e nel mondo. Si chiama crisi climatica, un nome che nel Vulture significa, soprattutto imprevedibilità. Commenta Giulio: «L’estrema variabilità, la totale imprevedibilità, ci spaventa anche più del caldo. La siccità è stata più estrema, è vero, ma questa è una condizione che fa già parte del territorio. Quello a cui dobbiamo prepararci è invece questa grande variabilità. Lo stiamo facendo, ad esempio, ricercando vigneti più alti, dove le condizioni climatiche siano più tollerabili».
Una sfida che auguriamo loro di affrontare al meglio, perché la bramea deve poter continuare a volare, e non stare al proprio posto.
di Silvia Ceriani, info.eventi@slowfood.it